di Amalia Mancini (scrittrice)
C’era una volta tanti e tanti anni fa, che nessuno se lo può sicuramente ricordare, un giovanissimo dinosauro. I suoi genitori lo chiamarono Arzillo.
Questo nome di sicuro apparteneva a un loro lontano parente al quale tutti portavano gran rispetto, come si era soliti fare nelle grandi famiglie di dinosauri. Di questo lontano antenato nessuno aveva memoria se non del fatto che aveva salvato la sua famiglia da morte certa, almeno così tramandavano gli anziani. Da allora ogni famiglia chiamava uno dei propri cuccioli Arzillo.
Il nostro amico viveva con il suo papà e la sua mamma in uno stretto avvallamento tra alte rocce. Un luogo nascosto agli occhi di molti, un tempo rigoglioso e ricco di cibo, adesso, però, sempre più povero e grigio. Un bel giorno i genitori di Arzillo si allontanarono in cerca di un posto migliore per vivere e lo lasciarono in compagnia della fedele Lizarella.
Lizarella era una bellissima lucertola sempre sorridente e allegra. Viveva con loro da tanto. Il papà di Arzillo l’aveva trovata in lacrime, tutta impaurita, vicino a un burrone. Aveva smarrito la strada e, malgrado le ricerche effettuate per diversi giorni, non erano riusciti a capire da dove fosse arrivata. Fatto sta che la adottarono e diventò per Arzillo più di una vera sorella, compagna di giochi e di avventure.
Arzillo di natura era pigro e conosceva poco il mondo. Vagò, malgrado ciò, per intere giornate in compagnia della fedele amica chiamando invano ad alta voce i suoi genitori, aspettando speranzoso il loro ritorno. Si rese conto, col passare del tempo, che il suo piccolo mondo si impoveriva sempre più e il cibo scarseggiava. Il cielo poi, da quando c’era stato un terribile temporale, diventava sempre più nero e buio. Le tempeste, si sa, a quei tempi, erano sempre spaventosamente catastrofiche Un manto plumbeo incombeva sulla terra e solo in lontananza si avvertiva qualche sparuto bagliore di luce. Stavano scomparendo tutti i colori . Predominava il livido grigiore della pietra lavica.
Arzillo diveniva sempre più malinconico e non ascoltava più le parole di conforto della lucertola. Si sentiva, malgrado la sua presenza, terribilmente solo.
Una mattina fu svegliato da uno strano prurito al naso. Subito si scosse e si sollevò in piedi. Vide svolazzare intorno a sé un gruppo di strani esseri e ne fu sorpreso e felice.
«Salve, io sono Arzillo e voi chi siete?»
«Noi siamo le farfalle. Non mi dire che non hai mai visto una farfalla? Io sono Arancilla, lei Cavolilla e quella più scura Violacella. Siamo amiche di voi dinosauri da tempi antichi. Non ti hanno mai parlato di noi i tuoi genitori?»
Arzillo non rispose. Non ci riusciva. Incominciò a piangere. Allora Lizarella si avvicinò a una di loro e raccontò la storia di quel giovane dinosauro.
Violacella, la più bella e colorata del gruppo, subito gli fece una proposta.
« Arzillo, noi siamo tre farfalle che si sono allontanate troppo dalla loro casa. Siamo sole e abbiamo bisogno di qualcuno che ci accompagni».
Arzillo le guardò stranito . Non capiva. Così lei continuò .
« Ho capito che tu pure sei solo e vorresti ritrovare i tuoi genitori che forse si sono persi ».
«Sì. Vorrei. Ma non so niente del mondo e qui è diventato tutto così triste e senza colore. Voi mi potreste aiutare?»
«Verrai con noi. Con te ci sentiremo al sicuro e ti porteremo in un posto magnifico dove troverai tutti i colori del mondo e forse riusciremo ad avere anche notizie dei tuoi genitori».
Arzillo finalmente sorrise e urlò felice «Siiiii». Poi aggiunse con un certo entusiasmo: «Lizarella sarà una di noi, è di fatto mia sorella, senza di lei non sarei sopravvissuto».
Le farfalle iniziarono a volare tutte insieme in un girotondo sulla sua testa e la lucertola agitò la coda felice. Decisero che sarebbero partiti all’alba senza bagagli. Arzillo si addormentò contento, cercando di evocare l’immagine dei suoi genitori.
Stava spuntando l’alba quando si misero in cammino. Lizarella dopo un po’ si mise in groppa ad Arzillo , mentre le farfalle ogni tanto si posavano sul suo capo. Riposavano e chiacchieravano parlando della loro valle, dei meravigliosi profumi che emanavano i fiori variopinti che vi crescevano. Raccontarono degli alberi, dei ruscelli e di un importante fiume che avrebbero attraversato prima di arrivare, ma c’era da scalare una grossa montagna e lì avrebbero incontrato l’unico pericolo del viaggio.
«La montagna è abitata da un serpente magico. Incanta tutti quelli che la attraversano, ingoia tutte le farfalle e tutti gli animali con cui si imbatte per strada».
«E non si potrebbe fare un’altra strada?» Chiese spaventata Lizarella.
«Purtroppo no. E’ l’unica possibile per chi la percorre a piedi». Risposero in coro le farfalle. Arzillo preoccupato volle dire la sua.
«Dobbiamo preparare un piano per distrarlo o spaventarlo».
Proseguirono il loro cammino tutti pensierosi fino a quando non sparì anche l’ultimo spiraglio di luce. Si accostarono a un mucchio di pietre, Arzillo le smosse con i suoi possenti piedi e si accamparono lì. Un sonno pesante li avvolse.
Arzillo sognò i suoi genitori. Gli raccontarono la leggenda del serpente e del bastone. Appena sveglio subito riferì alle sue amiche dello strano sogno.
«Sicuramente i miei genitori mi vogliono aiutare. Forse sono ancora vivi».Sospirò. «Bisogna procurarsi un bastone e agitarlo davanti al serpente! E’ questo il punto. Incantare lui prima che incanti noi!» Aggiunse con foga.
Ripresero subito la marcia con gli occhi ben aperti, guardando in giro qualunque mazza o bastone incontrassero per strada. Dopo averne scartati un bel po’ decisero per un forte ramo bitorzoluto, ben stagionato , leggero e facile da maneggiare. Lo misero sulla groppa di Arzillo. Lizarella e le farfalle lo tenevano in equilibrio. Doveva essere buffo per chi li vedeva da lontano procedere lungo i tortuosi sentieri di quel mondo preistorico . Un grosso e goffo dinosauro di nome Arzillo che si portava in groppa un bastone tenuto in equilibrio da tre allegre farfalle e una strana lucertola.
Cammina, cammina giunsero alla famosa montagna e Arzillo con coraggio iniziò prudentemente la salita. Avevano preparato un piano per incantare il serpente.
Avvenne tutto all’improvviso. Il serpente si presentò davanti e, senza mezze parole, lo minacciò. Era grosso e lunghissimo, con un manto a chiazze verde scuro, uno sguardo cattivissimo e una strana corona in testa.
«Chi sei tu che osi attraversarmi la strada senza neanche presentarti? Guardami bene negli occhi e portami rispetto. Io qui sono il re e decido chi deve passare e chi no». Arzillo, prima di rispondere si voltò un attimo verso Lizarella e le sussurrò:«Adesso!»
Poi si avvicinò con tutta la sua maestosa figura, in fondo era grande e grosso anche lui, e rispose con tono di sfida: «Sono Arzillo, figlio di Pirilla e di Petrillo, re delle Rocce Sperdute»
Veloci le farfalle e Lizarella incominciarono far ondeggiare il bastone, mentre Arzillo spavaldo lo fissava e batteva il piede per portare il tempo. Sappiamo bene quanto sia importante il peso di una farfalla… figuriamoci di tre che dondolano al ritmo di una musica inventata da un dinosauro, con l’aiuto di una lucertola come Lizarella, svelta e attenta a bilanciare ogni movimento. Fu un gioco da ragazzini. Il serpente fu subito incantato. Si arrotolò su di sé e crollò a terra addormentato. Arzillo ci camminò sopra e con un calcio lo lanciò giù nel burrone. Le farfalle batterono le ali divertite!
Corsero giù per la valle cantando, ridendo e rotolando . Quando si fermarono Arzillo e Lizarella rimasero folgorati dalla luce del sole che li abbagliava. Sulla loro testa svolazzavano un’infinità di farfalle colorate, mentre numerosi tappeti di fiori variopinti esalavano profumi gradevolissimi.
Arzillo si distese sul prato e ancora stordito guardò l’azzurro del cielo. Chiuse per un attimo gli occhi. Adesso lo sapeva: avrebbe ritrovato i suoi genitori.
Le farfalle riconoscenti organizzarono una serie di voli di perlustrazione e ricerche, mandando messaggere in tutta la enorme valle. Petrillo e Pirilla furono avvistati e avvisati.
Dopo pochi giorni incontrarono Arzillo e Lizarella al Ruscello Azzurro e da quel momento vissero felici e contenti.