Ah, che balocco è il cuore

se cade nelle mani dell’amore!

…Amore ci trascina, c’inghiotte e non mastica mai:

come mitraglia ci uccide in grande schiera.

E’ il Luccio tiranno, i nostri cuori Pesciolini… . John Donne

di Margherita De Napoli

In questo verso tratto da “Il cuore infranto”, il poeta inglese descrive con una bella immagine la sensazione di sentirsi in balia di una potenza non controllabile con la ragione.

Esistono in natura ‘liaison’ bizzarre come quella che ha come scenario un lago in Germania e come protagonista la tenace e fedele Petra, un cigno nero che spasima per un grande pedalò bianco a forma di cigno. Pur di stare accanto al suo partner di plastica ha rinunciato ad un corteggiatore in carne e piume. Di questa curiosa forma di attaccamento si sorride, ma purtroppo la dipendenza amorosa, che rende il cuore un giocattolo nelle mani di Eros, può causare traumi indelebili.

Non esiste manuale né istruzioni per l’uso che possano aiutare a gestire il travaglio di un sentimento non ricambiato. E in quel dolore l’innamorato è solo perché -come racconta Alcibiade nel Simposio di Platone- è “come un uomo morso da una vipera”, chi l’ha subito non è “disposto a raccontare com’è stato se non ai compagni di sventura perché essi soli comprendono e possono scusare ciò che ha osato dire e fare sotto l’azione di quella sofferenza“.  Venticinque secoli sono passati, siamo nell’epoca della “vetrinizzazione sociale”, esposti in vetrina su Facebook o altri social network, eppure quel morso di serpe fa male ancora oggi.

Cosa è cambiato dopo 2500 anni? Ora c’è voglia di esibizionismo e popolarità, ci si può mostrare all’occhio di una web cam senza veli, sfacciatamente mettersi a nudo senza pudore perché è avvenuto –come scrive R. Barthes- un “rovesciamento storico: ciò che è indecente non è più la sessualità, ma la sentimentalità”.

Infatti, si parla con disinvoltura di sesso, essere sessualmente disinibiti è trendy, mentre il sentimento amoroso è retrò e dunque fonte di vergogna. Immersi come siamo in un’atmosfera pubblicitaria ne siamo condizionati a tal punto che, nella parallela vita on-line, i nostri profili sono degli spot di noi stessi. Per il Narciso innamorato della sua immagine ideale, vergognarsi è una sconfitta inaccettabile, l’ammissione di una vulnerabilità che potrebbe essere ridicolizzata causando così un crollo dell’autostima. Quando poi è la nostra stessa cultura ad essere imbevuta di narcisismo, il sentimento di vergogna -apparentemente esorcizzato- sarà come un fiume carsico che scorre sotto la superficie pronto a tracimare nel momento in cui una crepa si apre su quella realtà di perfezione fittizia.

Dobbiamo far finta di essere autosufficienti, di non avere bisogno degli altri, quasi che il desiderio di contatto col prossimo sia un peccato da nascondere agli occhi di tutti. E il singolo, preso in questa ragnatela, dovrà conformarsi per placare la paura di essere respinto e negare contemporaneamente la propria dipendenza dagli altri. Un giorno, ascoltando frammenti di un discorso tra amici colsi il consiglio che un amico dava ad un altro: “non devi coinvolgerti.” Questa esortazione mi fece riflettere. Non coinvolgersi! Uno dei comandamenti nella nostra società spassionata. Una bella vita a bagnomaria perché non vale la pena prendersela a cuore. Il pathos è out, romanticume. La cifra del nostro tempo è la tiepidezza.

E se il “Luccio” ti azzanna l’anima avverti ancora più acutamente il senso di solitudine e il brusio delle chiacchiere da chat non fa più compagnia, anzi, ci si sente ancora più estranei a quel mondo che si ciba di gossip sulle vite degli altri e non ha tempo per quegli ‘sfigati’ che vivono la rottura di un legame affettivo. Quando si entra nei social network si rinuncia alla privacy: discrezione e riservatezza non abitano nel grande villaggio virtuale. Con i sentimenti si “gioca”, si usano le parole con molta disinvoltura. E’ facile che si accendano emozioni, ma così come le  parole carezzevoli possono far innamorare, quelle aspre possono schiaffeggiare generando astio e rancore, per questo vanno usate con tatto. E se l’Amore tradisce, dalla cronaca rosa purtroppo può finire sulle pagine di cronaca nera.

Chi di noi non ha mai provato la ferita di non sentirsi amati? Tutti vorremmo che una relazione si chiudesse ‘civilmente’, vorremmo contenere le spinte irrazionali del post-frattura. Quando ci s’innamora si usa la metafora del “perdere la testa”, è difficile averla sulle spalle quando una storia sentimentale s’interrompe.

Durante un litigio facilmente ci si rinfacciano le reciproche mancanze e le parole offensive, come materiale infiammabile, possono esplodere nella psiche di chi le riceve in un momento in cui già si sta vivendo lo scacco di essere lasciati. In un libro interessante, “Il Sé a nudo” di Michael Lewis, si parla di come la vergogna possa celarsi dietro molti efferati delitti. Illuminante lì dove si analizzano omicidi passionali in cui nell’animo del carnefice si genera la spirale “vergogna-furore”. Quando si “scarica” qualcuno, bisognerebbe mettere in gioco la sensibilità e conservare il sangue freddo evitando -se ci si accorge che l’aria si surriscalda- provocazioni, derisioni che cadrebbero come alcool sulla ferita dell’abbandono. La vergogna accompagna la percezione di “un fallimento totale o parziale della propria dignità…si diviene immediatamente spregevoli”.

E’ come se si subisse una “Cacciata”, è l’identità stessa ad essere minacciata. All’origine di tanta aggressività -verso se stessi o verso gli altri- può esserci proprio questo sentimento negletto. Perché non interrogarci?

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